Secondo il perito l’azienda avrebbe potuto utilizzare la martinite al posto dell’amianto, un prodotto autarchico (e non dannoso)
Morirono uno dopo l’altro, operai e impiegati, nell’Olivetti di Ivrea: e altri ancora ne moriranno, e in aula ieri si snocciola la contabilità macabra, giudici e avvocati perdono i conti, «Bretto è morta dopo», «Perelli è ancora viva», eccetera.
Ad ascoltare, nessuno degli imputati: né Carlo De Benedetti, né suo fratello Franco, né Corrado Passera, né gli altri amministratori e manager che hanno diretto il gruppo negli anni in cui l’amianto avvelenava chi orgogliosamente, ogni mattina, timbrava il cartellino.
Eppure l’alternativa esisteva, spiega Stefano Silvestri, uno dei maggiori esperti italiani di morte d’amianto, che in questo processo è il consulente della Procura. «Si chiama martinite, è un prodotto nazionale, e infatti durante il fascismo veniva propagandato come prodotto autarchico». Invece l’Olivetti era quasi un giacimento di amianto. Amianto nelle coperture, nelle coibentazioni, nei cappellotti, nel talco per impedire che i rulli delle macchine da scrivere si appiccicassero tra loro. «Posso affermare che l’azienda Olivetti si è sempre caratterizzata come utilizzatore indiretto di amianto – dice Silvestri -. I primi articoli sulla presenza di amianto nel talco sono degli anni Settanta. Già nel 1973 il produttore del Das, il gioco per bambini, cambiò il fornitore di talco». Invece in Olivetti non cambiò niente. «Il rischio ha avuto ricadute negative su molte persone che hanno operato dal dopoguerra in vari reparti di questa azienda – spiega l’esperto -. Il materiale purtroppo è stato utilizzato anche dopo che si è saputo che era pericoloso».
Sul legame diretto tra amianto e cancro, quasi sempre mesotelioma pleurico, inguaribile, parleranno nelle prossime udienze i medici legali: ma è un dato scientificamente così approfondito da essere ovvio. Gli avvocati proveranno a dire che le vittime potrebbero essersi ammalate altrove, ma ……