Danni da esposizione a uranio impoverito e responsabilità civile della Pubblica Amministrazione

Sommario

1. Il caso dei danni da esposizione ad uranio impoverito: la notorietà del pericolo

2. Malattie e decessi tra i lavoratori militari: la ricerca del nesso di causalità

3. La condotta omissiva del Ministero della Difesa e l’accertamento di responsabilità civile

1. Il caso dei danni da esposizione ad uranio impoverito: la notorietà del pericolo

Negli ultimi decenni, la complessa questione sui danni alla salute e all’ambiente derivanti dall’esposizione all’uranio impoverito e la questione della responsabilità civile della Pubblica Amministrazione hanno richiamato l’attenzione della dottrina e della giurisprudenza e ha portato all’istituzione di apposite commissioni parlamentari d’inchiesta per l’analisi delle problematiche che derivano dall’utilizzo di tale sostanza.

Il depleted uranium è un rifiuto tossico che si ottiene dal procedimento di arricchimento dell’uranio naturale eseguito nelle centrali nucleari e che come tale dovrebbe essere stoccato e smaltito. Tuttavia, considerate le sue caratteristiche piroforiche e l’elevata densità, lo stesso è stato riciclato per lungo tempo dall’industria bellica per la produzione di proiettili e ordigni. L’utilizzo di munizioni contenenti il metallo in questione è stato riscontrato in numerosi teatri bellici, in particolare nei conflitti che hanno interessato il Golfo e l’area dei Balcani nonché, così come affermato da fonti accreditate, nelle unità addestrative distribuite sul territorio nazionale.

È opportuno osservare come già all’epoca dei predetti conflitti, lo stato delle conoscenze scientifiche fosse tale per cui poteva dirsi quantomeno nota la pericolosità degli armamenti all’uranio impoverito, sebbene mancassero delle certezze scientifiche sui singoli effetti patologici.

La notorietà dei rischi per la salute umana derivanti dall’esposizione prolungata a tale fattore patogeno è comprovata dai documenti in possesso del Ministero della Difesa (ad esempio, l’Air Force Armament Laboratory del 1977) dai quali emerge come quest’ultimo fosse a conoscenza già da tempo non solo dei potenziali rischi per l’integrità fisica dei militari ma anche delle misure di protezione adottate in primis dalle forze Statunitensi, il principale esercito al fianco del quale hanno operato le milizie italiane. A comprova di ciò risultano significative alcune dichiarazioni rese da militari in missione all’estero con le quali gli stessi testimoniano di aver informato più volte i loro superiori del fatto che le tute indossate dagli appartenenti all’esercito americano ricoprissero interamente il corpo, mentre i militari italiani continuavano ad eseguire gli incarichi con l’ordinaria divisa, consistente in pantaloni e maglietta.

14 giugno 2018

Leggi l’articolo di Giulia Piras su FiLOdiritto