L’intervista via Skype al maresciallo Monno, malato, che racconta di altri 12 colleghi colpiti dal cancro. E il caso dell’acqua contaminata sulle navi della Marina denunciato da Le Iene
Tommaso Monno ci ha contattato perché voleva raccontarci ancora il suo e altri casi, soprattutto dopo le telefonate che ha ricevuto dai colleghi dopo che lo hanno visto in tv su Le Iene. E noi lo abbiamo intervistato via Skype nel video che vedete qui sopra. Avevamo già conosciuto il maresciallo nel secondo dei due servizi che la Iena Luigi Pelazza ha dedicato al caso dell’acqua contaminata sulle navi della Marina.
Monno nell’intervista Skype torna a parlare dei due tumori che ha avuto nel 2010 e nel 2017 e del fatto che i medici ipotizzano un collegamento tra il cancro e il suo lavoro, in particolare quello di bonifica in Kosovo degli ordigni lanciati dagli aerei Nato. Il pericolo in questo caso è quello di essere entrato in contatto con l’uranio impoverito. “Dopo il servizio tv mi hanno chiamato tanti colleghi che facevano lo stesso lavoro: sette hanno avuto problemi oncologici”, racconta Monno. Durante un impiego a terra, il maresciallo dice di aver lavorato dentro un vecchio deposito di lastre radiografiche: anche lì si sarebbero registrati 5 casi di tumore. Tornando al tema dell’acqua contaminata, sulla nave Gorgona su cui era imbarcato ci sarebbero stati, oltre al problema dell’acqua “idonea all’uso umano”, un caso di legionella e 12 di “avvelenamento” da benzene.
Un nuovo racconto allarmante quello di Tommaso. Se quando detto fosse vero, speriamo che si attivino presto nuovi controlli.
Pelazza, nella sua inchiesta è partito, nel primo servizio, dal caso del maresciallo infermiere Emiliano Boi che nel 2011 comunicò ai superiori dei rischi dell’acqua di mare, desalinizzata e trattata con raggi ultravioletti, che veniva data, da bere e per cucinare e lavarsi ai militari della fregata Duilio. Questa acqua non sarebbe potabile e risulterebbe potenzialmente cancerogena. Non avendo ricevuto risposta dai superiori, Boi ha segnalato il caso a Luca Comellini, il segretario del Partito per la tutela dei diritti dei militari. Si è ritrovato sotto processo proprio per questo, per aver divulgato quelle informazioni all’esterno.